A settembre è ricominciata la scuola. Finite le vacanze all’insegna della cautela, almeno nel nostro caso, i bambini con tutti gli scongiuri del caso sono tornati in classe dopo praticamente sette mesi di assenza forzata causa Covid-19.
Si sono ritrovati senza quasi conoscersi più dopo tutti quei mesi distanti, salvo qualche lezione on-line, primi tentativi di una didattica a distanza che, almeno per le scuole elementari, si spera di non dover applicare ancora.
In questi mesi, dalle riaperture delle attività a giugno fino alle nuove chiusure di novembre, se ne sono dette tante riguardo il virus. Tutto ed il contrario di tutto lasciando percepire una grave mancanza di informazione e di conoscenza, soprattutto da parte di chi avrebbe dovuto dimostrare il contrario. Per la sicurezza, di tutti.
Non voglio entrare nelle specifiche dell’argomento perché non sono in grado, non sono un medico, un ricercatore, un virologo, un chimico, un infermiere, un farmacista. Sono proprio lontanissimo da tutte queste figure per cui nemmeno mi azzardo a pronunciarmi su un argomento tanto oscuro come possa esserlo il virus che sta mettendo in ginocchio, economicamente, fisicamente e moralmente, tutto il pianeta.
Fino ad ora ho sentito parlare del Covid-19 solo per testimonianze più o meno vicine. Senza esserne toccato.
Però un pugno nello stomaco me lo ha dato, forte.
Ieri ho controllato i compiti sul quaderno di mio figlio. Prima matematica e poi italiano. Come sempre mi piace fare quando mi lascia i quaderni, li sfoglio per guardare il lavoro fatto fino a quel momento.
Vado indietro, cerco gli errori e glieli faccio notare. Ci ridiamo anche per quelle parole incerte con più lettere del dovuto o scritte malamente e prontamente corrette dalle maestre. Lo prendo in giro e lui capisce che scherzo e partecipa al gioco.
Abbiamo riso, andando a sfogliare il quaderno fino all’inizio. Fino a settembre.
Di rientro dalle vacanze, nei primi giorni di scuola, la maestra ha chiesto che scrivessero i loro ricordi dell’estate. Anzi, per la precisione i loro ricordi colorati.
Quali fossero i ricordi dorati. Quali i ricordi rossi.
E quali i ricordi azzurri.
Ho respirato a lungo leggendo. E ho voluto chiedergli, ho dovuto chiedergli se fosse un dettato. Se avesse scritto su suggerimento della maestra o di un compagno.
No, me li ha ripetuti. Il mare, il cielo, la piscina e la mascherina. La mascherina.
Mi sono sentito come un pugile esordiente messo sul ring con un peso massimo. Mi ricordo la fitta allo stomaco, sì ma quella parola è stata una scarica di pugni in tutto il corpo che mi ha frastornato, completamente, lasciandomi a terra senza forze.
Con gli occhi gonfi, pesti di un pianto mai sfogato.
Questo virus bastardo sta cancellando tanto delle vite di ognuno. Sta strappando dalle braccia dei loro cari, con forza disumana, padri, madri, fratelli, sorelle, nonni, zii, parenti, amici. In un attimo, nel tempo di un respiro che viene a mancare.
Vite cancellate, ricordi annullati, speranze annientate, sogni svaniti. Un carico di dolore insopportabile.
In tutto questa tragedia ci sono anche altre vittime meno illustri ma non per questo da dimenticare. I bambini.
Sono stati oggetto di discussione in quanto destinatari dei famosi banchi a rotelle. Chiamati in causa per la didattica a distanza poi diventata didattica digitale integrata con un’evoluzione degli acronimi di tutto rispetto.
E per le mascherine che il ministero avrebbe distribuito in tutte le classi di tutte le scuole per salvaguardare la loro salute.
Ma in tutto questo, tra tutti questi presunti “benefici”, nessuno, nessuno ha mai parlato delle loro testoline. Tranne, naturalmente, chi di loro si preoccupa davvero ossia genitori e parenti.
Nessuno ha mai pensato ai loro pensieri, ai loro ricordi.
Perché un bambino ha il diritto di essere felice. Esistono già così tante difficoltà per le loro vite, nonostante la giovane età, che quando devono ricordare l’azzurro non è giusto venga in mente la mascherina.
Gli è stata annullata l’infanzia. Stanno cancellando loro gli anni migliori della vita, quelli che ricorderanno per sempre e con nostalgia una volta cresciuti.
Anni che dovrebbero essere di giochi, di abbracci, di risate, di scherzi, di corse sfrenate, di partite di pallone, giri in bicicletta, giochi all’aria aperta. Di gioia, di allegria. Di coccole da nonni che forse riescono a vedere senza un vetro a separarli prima che siano i giorni a farlo, del tutto.
Invece sono costretti a rifugiarsi nelle piattaforme online per giocare con i compagni, con gli amici, nei giochi della playstation per avere l’idea di contatto e parlare di amicizia.
Dolore che si aggiunge al dolore. Solo che a questo ci fanno caso solo i genitori.
Non sono complottista, negazionista o altro ma credo che se Dio esiste, dovrà ricordarsi del credito di anni che sono stati costretti a perdere.
E da qui alla fine dell’umanità ci sarà qualcuno che dovrà pagare per questo torto e per l’immenso danno creato. Ai bambini, prima di tutti.