In diverse occasioni, su blog che gestivo nel passato, in post su Facebook o altrove, ho parlato di Parigi.
Addirittura Parigi è stata l’ambientazione, quasi naturale, di uno pseudo romanzo o racconto lungo che ho iniziato a scrivere diversi anni fa e che non ho mai concluso.
Parigi per me è sempre stata speciale. Non è stata la città dell’amore ma è la città di cui sono innamorato, da sempre. Da quando, da piccolo, seguivo mio padre nelle fiere che andava a visitare dopo aver allestito uno o più stands.
La prima volta in cui ho visto la Torre Eiffel avevo forse 7/8 anni. Eravamo in macchina e quando siamo arrivati a Parigi mi si è fermato il cuore, vedendola. E quando siamo ripartiti, sono rimasto incollato al finestrino con le lacrime agli occhi vedendola diventare sempre più piccola fino a sparire all’orizzonte.
Da quel momento è stato amore. Puro. A quello poi si è aggiunto il piacere di poter studiare, alle medie, la lingua francese per scoprirmi ancora più innamorato. Di Parigi, della Francia, del francese.
Ecco perché le notizie degli attentati, prima a gennaio contro Charlie Hebdo e poi dell’altro ieri, mi hanno profondamente scosso. Gli spari tra le gente, per le strade, nei locali, le bombe, le vittime, sono stati attentati al cuore, proprio come ho scritto su Facebook mentre, impietrito, seguivo i vari telegiornali e social network alla ricerca di informazioni.
Non che avessi dei parenti, a Parigi, sebbene i francesi lo siano, in quanto “cugini”. Non avevo amici né cari da contattare per accertarmi delle loro condizioni, sebbene quasi tutti i francesi lo siano.
Quasi tutti, specifico, perché dall’elenco devo escludere quelli che per nazionalità sono francesi ma per ideologia hanno scelto di schierarsi dalla parte opposta, imbracciando i kalashnikov.
Così, quando Facebook ha offerto la possibilità di cambiare l’immagine del profilo personale con la bandiera della Francia, non ho seguito la moda, non ho voluto fare il “figo”, non ho creduto che potesse essere utile. Ho solo pensato che potesse far sentire un minimo di vicinanza a tutte le persone coinvolte in questa terribile strage.
Che non fosse utile dal punto di vista materiale l’ho sempre saputo e non c’era bisogno che arrivassero i bacchettoni a farlo notare. Quelli che hanno voluto subito polemizzare sul fatto che la gente segua, come pecore, quella che è solo una moda passeggera e che tra pochi giorni si dimenticherà di Parigi e di tutto il resto.
Mettere la bandiera francese come immagine temporanea nel profilo, dal mio punto di vista, equivale a commentare un post pubblicato da un amico. Quando qualcuno scrive, per esempio, “mi è morto il canarino” (non voglio scomodare parenti e amici) e lo fa con dispiacere, trova un minimo di sollievo nel leggere i commenti (seri) dei propri amici che cercano di rincuorarlo.
In quei frangenti non pensa che i commenti siano inutili perché nessuno potrà ridare la vita al canarino. Non pensa che agli amici e conoscenti, del canarino, proprio non gliene freghi nulla. Condividi un momento di dolore e trovi qualcuno che, anche solo per un momento, ti è vicino.
Sapere che, in un momento così triste e doloroso per la Parigi, per la Francia, per l’Europa e per tutto il mondo schierato dalla stessa parte, c’è qualcuno che ti sostiene almeno moralmente, credo sia un buon modo per trovare le forze per risollevarsi. Se invece di uno, a sostenerti sono in milioni o miliardi, forse non ti rialzerai in fretta, ma quando sarai in piedi sarai ancora più forte di prima.