Si dice «anno bisesto, anno funesto» ma il doodle di Google cerca di ammorbidire il detto popolare riguardo l’anno bisestile facendo saltellare un coniglietto con la scritta 29 tra altri due, il 28 e l’1. Il ventinovesimo salta, trova posto tra gli altri due e si addormenta.

L’anno bisestile è un anno solare in cui, solitamente ogni quattro anni, alla sequenza abituale dei giorni ne viene aggiunto uno che porta il conto dei giorni a 366.

Perché c’è l’anno bisestile?

Per fare un giro completo intorno al sole la Terra impiega un anno solare che non è perfettamente divisibile in periodi di 24 ore. L’anno solare dura infatti circa 365 giorni e 6 ore. Se tutti gli anni fossero formati da 365 giorni, ogni quattro anni il calendario avrebbe l’anticipo di un giorno. L’anno bisestile serve proprio per sincronizzare il calendario quando le ore accumulate diventano 24 (sei ore all’anno per quattro anni).

L’anno astronomico invece non dura nemmeno 365 giorni e 6 ore ma 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 46 secondi. Per regolare questo scarto non bastano gli anni bisestili e dopo 400 anni torneremmo ad avere un calendario errato con tre giorni di ritardo. Il problema è stato risolto non considerando bisestili gli anni precedenti a quelli di inizio secolo, ovvero divisibili per cento, a meno che non siano anche divisibili per 400. Ogni 400 anni ci sono 3 anni bisestili in meno per eliminare i tre giorni d’anticipo accumulati.

Quando fu inventato l’anno bisestile?

L’origine dell’anno bisestile è dovuta a Giulio Cesare che, nel 46 a.C., impose di mettere un po’ d’ordine nel calendario. Prima di lui l’anno romano durava 355 giorni. Per compensare la differenza con l’anno solare, di tanto in tanto veniva aggiunto un “mese intercalare”, di durata variabile intorno ai 20 giorni tra febbraio e marzo. Così dopo un anno da 355 giorni ne seguiva uno da 377. Poi tornava quello da 355 e uno da 378. Questo sistema riusciva ad allineare il calendario romano a quello solare, ma solo in teoria.

In pratica la sua funzionalità era pessima. Il Pontefice Massimo regolava i calendari e la sua carica politica gli permetteva di gestire il mese intercalare a seconda dei propri interessi. Poteva accorciarlo, allungarlo, inserirlo o addirittura dimenticarlo in base al proprio tornaconto. Per esempio, se un evento in programma a marzo avesse dovuto essere ritardato, il mese intercalare diventava inspiegabilmente lungo. Al contrario, per qualcosa di urgente da realizzare a marzo, il mese intercalare veniva dimenticato.

Giulio Cesare, grazie all’aiuto di matematici ed esperti, tra cui alcuni egiziani, cercò di portare un po’ d’ordine e stabilire delle regole. Così venne progettato il calendario diviso in 365 giorni con l’aggiunta di un giorno ogni quattro anni.

La riforma però trascurava il fatto che l’anno solare non dura esattamente 365 giorni e sei ore. Quindi il calendario giuliano aveva comunque tre giorni di ritardo ogni 400 anni ma fino al 1582 nessuno si pose il problema. Fu il Papa Gregorio XIII ad accorgersi che in quell’anno la primavera iniziò l’11 marzo, dieci giorni prima rispetto all’equinozio. C’era qualcosa che non quadrava.

Così il Papa decise di rimettere mano al calendario e di aggiustarlo con una drastica riforma: nell’anno 1582 i giorni dal 4 al 15 ottobre furono cancellati. Dieci giorni che, sulla carta, non sono mai esistiti. Questo per pareggiare il conto. Per evitare che la cosa si ripetesse venne stabilito che gli anni multipli di cento sarebbero stati bisestili solo se fossero anche multipli di 400.

La formula per sapere se un anno è bisestile è dividere le ultime due cifre dell’anno per quattro mentre quelli secolari invece sono bisestili solo se sono divisibili per 400. Per esempio il 2000 era bisestile, il 2100 non lo sarà sebbene arrivi quattro anni dopo il 2096 che sarà bisestile. Non è stato bisestile il 1900 mentre sarà bisestile il 2400.

Da dove deriva il nome bisestile?

Il nome bisestile deriva dal calendario romano in cui era indicato come bisextus, ovvero due volte sesto. I romani infatti avevano un modo differente di contare i giorni del mese che era diviso in calende, idi e none. Nel calendario giuliano era stabilito che, negli anni da 366 giorni, il giorno in più cadesse a febbraio, il sesto giorno prima delle calende di marzo, cioè il 24 febbraio. Quindi il 24 febbraio era considerato giorno doppio, formato da 48 ore.

L’idea di aggiungere un giorno, ovvero il 29 febbraio, comparve forse nel medioevo quando i mesi cominciarono ad essere contati in modo sequenziale.

Perché funesto?

E’ una tradizione che trova origine sempre nell’antica Roma. Si credeva che l’anno bisestile fosse sfortunato perché febbraio era il mese dedicato ai riti per i defunti e il fatto che il mese avesse un giorno in più era considerato di cattivo auspicio. Ma anche secondo Savonarola gli anni bisestili sarebbero stati nefasti per greggi e vegetazioni.

A rafforzare l’idea dell’anno funesto i terremoti di Messina, Belice, Friuli, Armenia, Marocco, l’inizio del terremoto dell’Aquila (2008) avvenuti tutti in un anno bisestile.

Al contrario, per la tradizione nordica invece gli anni con il giorno in più sono considerati favorevoli ad ogni nuova impresa o cambiamento dello stile di vita o lavoro.

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