La festa dei nonni viene celebrata ogni anno il 2 ottobre, a partire dal 2005 con una legge del Parlamento e ricordata, tra gli altri, anche da un doodle di Google.

Il 2 ottobre si celebra la festa dei nonni per valorizzare il loro ruolo all’interno delle famiglie e della società.

Secondo la legge le regioni, province e comune hanno il compito di organizzare iniziative per mettere il rilievo la loro figura.

Pur trattandosi di una festa, questa celebrazione non prevede la chiusura delle scuole ma, al contrario, la legge stabilisce che proprio all’interno degli istituti scolastici vengano promosse iniziative di approfondimenti sulla tematica.

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Festa dei nonni e degli angeli custodi

Per celebrare i nonni è stata scelta la data del 2 ottobre perché in questo giorno la Chiesa celebra gli “angeli custodi”. La festa degli angeli custodi è originaria della Spagna, precisamente a Valencia, nel 1411 dedicata all’angelo protettore della città.

Prima di quella data gli angeli custodi venivano celebrati il 29 settembre con la festa di San Michele arcangelo.

In seguito la festa venne estesa anche in alcune città della Francia e poi negli altri paesi europei.

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Poesia per la festa dei nonni

Una bellissima poesia letta anche da Fabio Volo nel corso de “Il volo del mattino” oggi, è quella di Julio Cortázar: “La nonna”.

Dall’altra parte del mare
Un giorno moriremo, ma prima viene il  canto.
Nonna tu nei cortili dell’estate, già alzata all’alba, sola ad aprire imposte e ricevere il sole,
accompagnando la febbre dei miei ultimi sogni con lo strofinio appena udibile dei tuoi passi, 
entrando dalla parte del giorno a restituirmi il mondo 
nella fragranza del caffellatte.Non dimentico nulla, io crebbi sulla sponda della tua vestaglia e dei tuoi scialletti,
del tuo gusto per il lilla che ti fa come una cenere di colombe fra i capelli e le guance,
e sento un’altra volta il soave andare delle pantofole che ti portai dal Cile.
E sto vedendo la lunghissima treccia che tu lasci libera
quando ti alzi, come un ricordo dei tuoi anni di ragazza.
Tu non lo sai, nonna, però in te finisce il tempo, la successione 
dei giorni e delle s’piagge, delle aule e dei pianti, dell’amore nei suoi mille specchi, 
dell’uomo e del bambino che riconciliano le loro distanze nei tuoi occhi, oh paese della pace.
Ti vedo e sono piccolo e sono proprio io, e niente impedisce che il piccolo e l’uomo ti diano 
lo stesso bacio e si rifugino nel tuo abbraccio. 
Questi capelli che tu accarezzi e che pettinasti per la prima volta, questa fronte che stai baciando e che lavasti 
dal sudore della nascita, queste mani che vanno per il mondo palpando i suoi bei vuoti, e che guidasti nel primo 
incontro con il cucchiaio e la palla,
tornano al posto del riposo, e non se ne vanno, nonna,
sebbene io viva alzato verso tante rotte, e non se ne vanno, nonna.
La nonna spunta con il giorno a visitare l’orto e le galline
spartisce l’acqua e il mais, ammira i pomodori e i loro progressi,
e gode del racemo che si inerpica, del lampadario delle prugne regine claudie,
e va per le profondità della casa distribuendo l’ordine.
A volte mi alzo, l’accompagno e, associato ai suoi riti, do da 
mangiare agli uccelli e irrigo le veccie, sento il tremito dell’acqua sui rampicanti che bucano i muri e 
che la ricevono crepitando e si riempiono di scintille.
Ho dieci anni, vivo insieme ai bruchi e alle anatre, sono tenero e crudele,
ammazzo e proteggo, ordino come un re le cose del mio regno,
e sopra di me sta la nonna, le arrivo già all’altezza delle spalle, sulla punta dei piedi arrivo a baciarla,
e i nostri occhi si scoprono nell’allegria comune dei polli nati durante la notte.

Il nostro giardino durò quanto l’infanzia. Né tu né io lo dimenticheremo,
nonnina.Non dimenticheremo il sapore delle pesche bianche,
delle barbabietole, delle zucche incendiate.
Fu il tempo del riso al latte coperto di cannella, del piacere delle pannocchie sulla tavola tesa sotto i pergolati.
Stai nella cucina in penombra, con i glicini alla porta,
e curi le cadenze delle bacinelle di gelatina,
le marmellate invernali che ordinerai nella credenza.
Io sto lì, con Giulio Verne e una botta al ginocchio,
felice, guardandoti, sicuro che niente potrà mai accadermi, che in mezzo al mare o all’assalto del polo con il 
capitano Hatteras, o appeso al cielo con Michel Ardan,
tu mi tieni con te, vicino al fornello da cui l’aroma
inzuccherato cresce come un soave vulcano dipinto a lapis.
Un giorno moriremo, ma prima viene il canto.

E non solo ieri, nonna. A ogni svolta stai lì, piccola
sotto l’architrave, imbacuccata nella tua vecchiezza
senza macchia, 
nella tua piccola salute,
e ogni volta che mi trae da porte e passi e uomini,
io so che tu stai lì. E che il tuo amore senza altra causa che se stesso
ci sostiene nella notte e ci restituisce l’alba dell’incontro,
e il tempo gira la testa e ci accetta interi,
con il bambino che piange tra le tue braccia,
con il viaggiatore che si lava della polvere nel tuo sorriso,
con la giovane nonna che corre in mezzo alla neve per rallegrare il nipote,
con questa vecchietta che sostiene sulla soglia la lampada del benvenuto.
E il primo che muoia sappia che niente muore
e che la perfezione regnò nel suo giorno.

Da le ragioni della collera (1995)

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