Una delle cose che ho imparato durante gli anni di arbitraggio è stata imparare a fingere.
Non lo faccio sempre perché non sempre mi serve e il mio carattere mi porta a non essere proprio capace. Si dice che gli occhi siano lo specchio di quanto una persona sente dentro e credo che, guardando i miei, sia impossibile non accorgersi del momento in cui fingo.
Ho imparato a fingere di non vedere e non sentire proprio sul terreno di gioco ma ci ho messo un po’ di tempo per capire come fare. Altrimenti tutte le partite sarebbero finite molto prima del tempo regolamentare.
Se avessi voluto sentire o vedere tutto, ma proprio tutto quello che giocatori, dirigenti e pubblico dicessero o facessero, avrei fischiato la fine dopo cinque minuti di gioco.
Fingere di non vedere, di non sentire e anche di non sapere potrebbe sembrare pessimo ma nella vita come in una partita, dove conta sopravvivere e continuare a respirare per arrivare alla fine, bisogna fare di necessità virtù. Per questo, alla fine, riesco a giustificare questo comportamento che sono stato costretto ad estendere a tutti gli aspetti.
Svegliarsi, scegliere quale sorriso indossare per mascherare rabbia, delusione, sofferenza, difficoltà come si indossa un abito per una circostanza e affrontare il giorno. Fingere che tutto abbia una parvenza di felicità. Di tranquillità. Magari con malinconia ma sono ben pochi quelli che se ne accorgono.
Conosco persone che non sento per mesi e al “ciao” pronunciato al telefono capiscono tutto e se provo a convincerli che vada tutto bene fingono di crederci. Ci sono altre persone con cui sono a stretto contatto che non si accorgono né del sorriso finto né di quello che nasconde.
Fingo di non sentire frasi a metà, di non aver inteso il significato di qualche parola fuori luogo, di non aver ascoltato pensieri costruiti in modo infantile. Eppure tutti, indistintamente, arrivano a segno come una lama affilata solo che a quel punto devo continuare a fingere per non perdere la parte che ho costruito. Una difesa che, ancora una volta, serve a fingere di darmi solidità.
Solo che in tutta questa lezione che ho appreso nel corso degli anni, non ho mai avuto qualcuno che mi insegnasse a non aspettarmi nulla per non rimanere deluso. Quello mi manca e infatti trova il mio fianco scoperto e risulto vulnerabile.
E una volta in più comprendo che sia indispensabile fingere. Fingere di non aver notato quel particolare per non dare soddisfazione, per non dare modo di replicare “ma cosa ti aspettavi?“. Incasso. Prendo atto e taccio, volgendo lo sguardo altrove per evitare che si possa leggere negli occhi tutta la sofferenza.
Mi guardo allo specchio cercando di capire se sia stato davvero bravo a dissimulare e mi accorgo, io stesso, che il sorriso che vedo, gli occhi che guardo appartengono ad una persona diversa da quella che sono, che conosco. Una persona diversa da quella che fingo di essere.
E se non capisco più chi sono, significa che ho imparato davvero bene a fingere. Ma forse non sono ancora abbastanza bravo da capire quando gli altri lo fanno con me.