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Dopo aver visto Ascensione, Netflix mi ha suggerito di guardare anche Everest, un film del 2015 diretto da Baltasar Kormákur.

Spinto dal desiderio di avere un’altra visione (magari più seria) dell’ascesa sulla vetta più alta del mondo, senza pensarci troppo mi sono dedicato alla visione del film.

Trama di Everest

EverestAl confine tra Cina e Nepal, la vetta è la meta di un gruppo eterogeneo che ha deciso di affidarsi a Rob Hall e alla sua società, l’Adventure Consultants, per tentare l’impresa.

Rob è sposato con Jan e in attesa di una figlia che sogna di cullare in fondo alla discesa.

Ma le cose si complicano presto perché il campo base è affollato da dilettanti e da altre spedizioni commerciali gestite da Scott Fischer, alpinista col vizio dell’alcol.

Rob e Scott trovano però ragione e modo di collaborare e il 10 maggio 1996 partono alla volta della vetta alta 8.848 metri.

La scarsa preparazione dei clienti, combinata all’approssimazione organizzativa, ritarda la salita dei due gruppi. Nondimeno alcuni di loro toccheranno con mano la vetta a fianco di Rob, sempre generoso coi suoi clienti. Poi una tempesta improvvisa si solleva, soffiando sulla discesa e sul destino degli uomini.

Regia:Baltasar Kormákur

Genere: Drammatico

Durata: 121 minuti

Cast:  Josh Brolin, Jason Clarke, John Hawkes, Robin Wright, Emily Watson, Keira Knightley, Sam Worthington, Jake Gyllenhaal, Elizabeth Debicki, Mia Goth, Clive Standen, Vanessa Kirby, Michael Kelly, Martin Henderson, Tom Goodman-Hill, Naoko Mori, Thomas M. Wright, Demetri Goritsas, Chris Reilly, Ingvar Eggert Sigurðsson, Chike Chan, George Taylor, Charlotte Bøving, Micah Hauptman

Anno: 2015

Paese: USA

La mia opinione sul film

Un mio amico con la passione per la montagna spesso mi ha detto – riprendendo una frase di William Burroughs –  che, durante un’ascesa o discesa, “la cosa più pericolosa da fare è stare immobili“. Non sono appassionato di alpinismo né di montagna, ma vedendo Everest ieri sera non mi risulta difficile credergli.

La montagna, affascinante, simbolo dei propri sogni da scalare, da raggiungere rivela molto delle proprie ambizioni e di sé stessi, mettendo in luce i propri limiti e le proprie capacità. Prima di arrivare al punto in cui la carenza d’ossigeno offuschi la mente e non permetta di ragionare, ti porta a fare i conti prima con te stesso e poi con quanto ti circonda.

Amore, passione, orgoglio, ambizione si uniscono, si fondono, si dividono in un’estenuante battaglia tra ragione e sentimento che segnano la differenza tra vivere o morire.

Ed è questa battaglia interiore che ha condotto Rob Hall a non tornare indietro per accompagnare il cliente e amico Doug a raggiungere la vetta per ambizione, orgoglio che hanno alimentato la passione a discapito della ragione contro la quale è schierata l’intera spedizione, puramente commerciale, che viene denunciata nel film ed evidenziata con un traffico paragonabile a quello cittadino quando si tratta di attendere il proprio turno per attraversare un crepaccio.

Al di là di questo, Everest è riuscito ad emozionarmi, a rendermi partecipe di quei momenti anche grazie all’uso sapiente della fotografia che ha illustrato la magia dei luoghi già visti nel film precedente ma con un’accezione più mistica. Qui la tensione è palpabile, la difficoltà si vede, si sente, si prova. Non è per niente semplice e niente viene fatto credere semplice. La montagna più alta del mondo sarà anche “meno difficile” di altre ma resta comunque un traguardo non alla portata di tutti.

Se non sono il cuore o la ragione a farlo notare, ci pensa la montagna a ricordare che con la natura non si scherza.

Il film tiene incollati allo schermo o aggrappati alle corde, proietta in quell’atmosfera surreale, difficile, estenuante e fa vivere addosso la fatica, la sensazione di vertigine, di vuoto. Coinvolge fino all’ultimo respiro.

Senza essermi documentato prima, solo alla fine ho scoperto che il film riprende una storia vera, la tragedia del 1996 in cui persero la vita 8 alpinisti nel tentativo di raggiungere la sommità del monte e saperlo mi ha fatto apprezzare ancora di più la pellicola di Kormákur che sarebbe stata comunque piacevolmente drammatica.

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