Fabio Volo mi è sempre piaciuto, sia come deejay, sia come presentatore (ricordo le meravigliose trasmissioni italo-spagnolo, italo-francese e italo-americano), come scrittore e anche come attore.

Come scrittore non saprà scrivere dei capolavori che entrano nell’imperitura memoria collettiva, accostare il termine romanzo ad un suo libro potrebbe far impallidire autori molto più blasonati, ma Volo si sa vendere, vende e si fa leggere in modo scorrevole. Perché parla (anzi, scrive) diretto al pubblico. Senza troppe perifrasi, senza cercare arzigogoli. Delle volte brevi periodi fatti di stereotipi, termini terra-terra che rendono perfettamente l’idea di quel che voglia dire.

Mi sono innamorato, davvero, de “Il giorno in più” che ho letto e riletto più volte ma sono rimasto estremamente deluso dall’omonimo film che, con il libro, non ha nulla a che vedere. Con “Il tempo che vorrei” certi passaggi mi hanno anche fatto commuovere e l’ho apprezzato. Non sono riuscito a leggere, pur comprandolo, “Le prime luci del mattino“e ho volutamente saltato “La strada verso casa“.

L’altro giorno, dovendo completare un acquisto su Amazon, ho messo nel carrello l’ultimo “È tutta vita” senza leggere né trama né recensioni, l’ho acquistato d’istinto per soddisfare la voglia di leggere qualcosa di “leggero“. Solo dopo la consegna e prima di leggerlo, ho sbirciato cosa pensassero gli utenti che l’avessero già letto e un po’ mi sono spaventato, temendo di aver sbagliato a comprarlo.

Delusione, personaggi stereotipati, frasi scontate. Praticamente le solite cose che scrive il pubblico dal palato raffinato che non mi spiego perché si ostini a voler leggere un suo libro, sapendo già che tipologia di narrativa troverà.

L’ho letto in due giorni. Anzi, l’ho divorato. Nelle occasioni in cui ho dovuto interrompere la lettura non vedevo l’ora di riprenderla. Perché sembrava che il protagonista mi ricalcasse, passo-passo, in tutta la storia raccontata. Mi sono ritrovato in ogni capitolo, tranne nelle parti del tradimento e delle tentazioni.

Quando mancavano poche pagine alla conclusione, durante una pausa, ho raccontato la trama a qualcuno e ho commentato «devo finirlo per capire come finirò io».

Mi è piaciuto. Sarò banale, sarò semplice, non lo so, ma la lettura mi ha catturato pagina dopo pagina, coinvolgendomi sempre di più. E’ vero, ci sono le frasi fatte, gli stereotipi, le banalità ma sono le stesse cose che tutti noi, nell’arco di una giornata e di una vita, diciamo, compiamo e dietro cui spesso ci facciamo scudo.

D’altra parte non mi sembra che Fabio Volo si sia posto come massimo esponente dell’Accademia della Crusca o premio Nobel per la letteratura. Scrive perché ha argomenti da scrivere, parla in modo chiaro e diretto degli argomenti che ognuno affronta e offre il suo punto di vista nelle parole e nelle azioni del personaggio che descrive. Che male c’è?

Volo esprime qualche concetto, anche importante, in uno/due paragrafi, ci butta dentro una frase da social network o wikiquote e lo chiarisce quasi immediatamente, al contrario di “maestri” di scrittura che impiegano due o tre capitoli per dire la stessa cosa ma l’arricchiscono con contenuti che, ai fini pratici, non servono a nulla se non ad esaltare la loro capacità descrittiva. E vanno presi a piccoli bocconi prima che finiscano indigesti.

I libri di Fabio Volo sono come quei piatti che provi per curiosità la prima volta. Quando scopri il loro sapore e gli ingredienti o non li finisci e sai che non li ordinerai mai più oppure li divori.

“E’ tutta vita” è uno di questi.

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