Con il termine francese deja-vu (correttamente déjà-vu) si intende qualcosa di “già visto”, “già vissuto” ed è un fenomeno che fa parte della quotidianità di ognuno, più o meno inconsapevolmente.
Si tratta della sensazione di aver già visto un determinato luogo senza esserci effettivamente stati (altrimenti sarebbe ricordo, anche vago) oppure di trovarsi di fronte ad una situazione o esperienza che sembra di aver già vissuto e che quindi risulta particolarmente famigliare.
Dettagli che coincidono quasi alla perfezione in un quadro perfetto in cui le sfumature completano l’opera.
Le esperienze del passato segnano e insegnano, in qualsiasi modo le si voglia mascherare per sembrare innocenti, riaffiorano irrimediabilmente nella memoria, sotto forma di ricordo o di deja-vu fastidioso.
Quindi, per evitare di sollevare un vespaio, in quel quadro in cui i dettagli sono tanto precisi da diventare sorprendenti, si passa una mano di grigio nel tentativo di velare, offuscare il disegno. Una sorta di nebbia che avvolge, inghiotte e protegge nella sua indefinita sostanza.
Tutto questo, per essere ancora meno chiaro, non viene esposto su una tela su cui uno sguardo attento potrebbe notare quei particolari ma viene scritto in modo da risultare ancora più fumoso.
Faccio un esempio, tanto per spiegare meglio il concetto. Poniamo che debba fare qualcosa che a qualcuno non faccia assolutamente piacere, per assurdo che voglia andare a pescare con un amico sulle rive delle rapide di un fiume. Devo comunque avvisare questo qualcuno che, in un momento particolare, non sarò fisicamente presente ma non posso essere onesto per non scatenare una reazione che non sopporterei. Allora lo avviso che quel giorno, ad una determinata ora e per non so quanto tempo, avrò un impegno inderogabile e in quel frangente sarò irrintracciabile. Naturalmente l’amico è mio complice e mi darà le giuste motivazioni per convincermi ad andare con lui a pescare.
Vivo la mia esperienza e al ritorno avrò almeno queste opzioni:
- Non sono stato scoperto, per cui tutto fila liscio e della mia pescata nessuno (tranne i presenti) non saprà mai niente;
- Sono stato scoperto:
- Mi giustifico dicendo che non avrei potuto raccontare tutto per non ferire il mio interlocutore;
- Mi giustifico con la scusa che avrei raccontato l’evento solo successivamente;
- Mi arrabbio perché la mia libertà di azione è sacrosanta
Per cui risulterà: «Guarda, domani alle 19 non ci sarò perché ho un impegno importante, ci sentiamo quando torno». Il giorno e l’orario sono costretto a specificarlo per avvisare che a partire da quel preciso momento non dovrò essere disturbato. Nessuna informazione sul dove, come, perché sia impegnato né, tantomeno, per quanto. Se non dovesse abboccare niente, magari dopo un’ora sarei libero. Altrimenti chissà. L’altra persona, in cuor suo, come può vivere la cosa? Dipende dal tipo di rapporto che c’è tra i due, ma se io non avessi mai dato alcun motivo per dubitare della mia onestà sarebbe convinta del mio impegno altrimenti potrebbe arrovellarsi tra mille pensieri e dubbi.
Per mia sfortuna le rapide del fiume su cui tento di catturare una trota gigante costeggiano una strada di passaggio e vengo scoperto. Non sto facendo niente di male, apparentemente, però ho tradito la fiducia e ne sono consapevole nonostante tenti in tutti i modi di provare la mia innocenza.
Passa del tempo, indefinito e un amico mi suggerisce un luogo, altrettanto pericoloso, dove ha visto dei lucci giganti. Cosa e come fare? Con le migliori intenzioni del mondo, preparo tutto l’occorrente e mi convinco del fatto che l’onestà paghi sempre. Dico che vado a pescare, ma all’ultimo minuto, spiazzando chi mi sta di fronte. Ormai è troppo tardi per un rifiuto, ormai è tutto organizzato e io sono stato invitato all’ultimo, non avrei potuto avvisare prima. Dove? Non si sa. Con chi? Resto sul vago.
Nella testa del mio interlocutore si affolleranno mille altri dubbi e perplessità. «Ma come – potrebbe pensare – per prepararti per andare a pescare ci metti mezza giornata per sistemare canne e montature ed ora riesci ad essere pronto in meno di mezz’ora?». Dubbi legittimi che il mio comportamento non fa che alimentare. Raccontare un po’ di verità equivale comunque a mentire un po’. A quel punto arriva il deja-vu. Una situazione simile a quella già vissuta.
Si ripresenta un’occasione e ancora il mio comportamento, nonostante le esperienze precedenti, mi conduce sulla stessa strada, intanto tutto mi viene perdonato, tutto mi deve essere concesso perché nessuno può pretendere nulla da me. Maschero la cosa con qualche vago dettaglio in modo che, addirittura, il mio comportamento possa assomigliare ad una buona azione senza rivelare tutti i particolari, solo qualcuno per dare maggiore credibilità.
Dal momento che non vado mai a pescare da solo, omettere questo particolare significa che anche in questa nuova circostanza non sarò solo, ma è superfluo specificarlo. Non dicendolo, lascio che tutte le supposizioni restino tali. Potrei essere da solo, con un amico o con un’amica ma non sono stato io a dirlo sebbene sia scontato. Non specificare la compagnia potrebbe far pensare alla prima situazione, sapendo che ero con chi non avrei dovuto essere. La seconda volta ho fatto il finto tonto fingendo di non sapere dove e come fossi, nemmeno il giorno dopo.
Il mio interlocutore saprà solo quello che voglio fargli sapere. Quando. Non gli serve altro. Però potrà pensare, appunto. Sarà libero e autorizzato a pensare tutto quello che vuole, glielo sto concedendo proprio io e non posso aspettarmi che comprenda il mio atteggiamento.
E’ tutto un deja-vu, un film già visto con gli stessi, soliti, attori a recitare una parte senza che gli riesca proprio bene.
Nonostante abbia pagato il biglietto, sono libero di alzarmi e abbandonare la sala in qualsiasi momento anche se la curiosità di vedere fino a che punto la recita prosegua mi fa tentennare. Ma il copione lo conosco già.