Ho sempre trovato squallido il testo della canzone di Viola Valentino, “Comprami” perché spesso restituisce un’idea negativa del genere umano i cui sessi, maschili o femminili, vengono considerati alla stregua di oggetti con tanto di cartellino del prezzo.

«…Vieni qui e fatti un regalo/Comprami/Io sono in vendita/E non mi credere irraggiungibile/Ma un po’ d’amore, un attimo/Un uomo semplice/Una parola, un gesto, una poesia/Mi basta per venir via…». Il testo della canzone (qui il video di Comprami), recitata con voce apparentemente sensuale, tratta di una donna ma è facilmente adattabile anche al genere maschile.

Squallido, eppure è la realtà della nostra società. Tutto è in vendita, soprattutto le persone e se Viola Valentino parla di parole, gesti e poesia, ora invece l’asta è aperta al miglior offerente sulla base di beni esclusivamente materiali e parole, gesti e poesia servono solo a fare da accompagnamento, come il bigliettino che allegato ai regali che ormai non viene più considerato ma che è o quantomeno dovrebbe essere quello il primo, vero, regalo.

Ho imparato, mio malgrado, che esiste un genere di individui predisposti a farsi comprare. Per loro natura hanno come metro di giudizio quantità e qualità di quanto ricevano. Non misurano il bene, non riconoscono il bene ma i beni. Calcolati non sull’impegno, non sulle possibilità ma solo ed esclusivamente sulle aspettative. Unilateralmente.

Quanto vale un fiore di carta per la cui realizzazione ci sono volute ore rispetto ad un fiore in vendita dal primo fiorista che si incrocia per strada?

Quanto vale una confidenza intima rispetto ad un complimento di circostanza?

Quanto vale un biglietto d’auguri disegnato a mano rispetto ad uno comprato in cartoleria?

Il problema è che questa mentalità, giusta o sbagliata che sia, viene trasferita anche ai successori, figli o figlie, per cui se un oggetto non ha valore materiale, non ha proprio alcun valore. Il bene non ha scritto “comprami“.

Quando ero piccolo avevo un gioco in scatola di cui avevo perso il dado per poter giocare. Mio padre non me ne comprò uno, me lo fece con la sega circolare (rimettendoci anche un pezzo di dito) e per me quello fu il dado più bello che avessi mai avuto.

Come la matita che mi regalò un amico o la penna che mi venne regalata un Natale. Nessuna marca, nessuna scatola di prestigio, nessun nome altisonante. Però quelli sono, per me, i regali più preziosi.

Non mi vendo per un nome. Non mi vendo per un regalo. Magari mi sciolgo, ma per altre cose ed è diverso.

Questione di punti di vista.

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