Litighiamo tanto, litighiamo spesso anzi, quasi continuamente. Siamo due arieti e questo la dice lunga sul nostro carattere e sul nostro modo di rapportarci, più a cornate che a carezze.
Però tu lo sai che, nonostante tutto, nonostante faccia fatica sia ad esprimermi a parole e gesti e nonostante mal digerisca alcune tue uscite e alcuni tuoi atteggiamenti, sai che ti voglio bene dal profondo del cuore.
La dimostrazione è che tutte le battaglie che vado combattendo sono destinate anche a te, oltre che a me. Con molta più grinta, tenacia e volontà di quanta me ne venga attribuita.
Può darsi che sia una lotta vana se tu, oggi settantasettenne, sia ancora qui al mio fianco con spada e scudo, pronto a farti avanti prima di me per assorbire tutti gli urti di una vita infame che non si impietosisce davanti a nulla.
Cadi e fatichi a rialzarti, ma ancora cerchi di metterti in piedi e mi offri la tua spalla perché sia ancora io ad appoggiarmi.
Non credere che non comprenda. Non credere che non soffra. Non credere che tu sia solo ed io stia remando contro.
Certo, io voglio sopravvivere e non solo per me. Io ho scelto di avere una grande responsabilità verso cui devono essere orientati tutti i miei sforzi ma non ti abbandono.
Ho goduto quando c’era da godere, combatto quando c’è da combattere. Sperando che, buttato tra i lupi, ne possa uscire da capobranco.
Prendendo il tuo posto.
Tutto questo per dirti buon compleanno, papà. Avevamo sognato, entrambi, un presente diverso quando ancora si chiamava futuro. Tu in un modo, io in un altro, ma diverso.
Non è andata come ci saremmo aspettati ma possiamo ancora guardarci, tirare un lungo respiro e andare avanti. Insieme.
Chiudo con un estratto di Alessandro Baricco, tratto da “Questa Storia”:
Padre, vi ringrazio.
Grazie per avermi accompagnato al treno, il mio primo giorno di guerra.
Grazie del rasoio che mi avete regalato.
Grazie per le giornate a caccia, tutte.
Grazie perché casa nostra era calda, e i piatti senza incrinature.
Grazie per quella domenica sotto il faggio di Vergezzi.
Grazie per non aver mai alzato la voce.
Grazie per avermi scritto ogni domenica da quando sono qui.
Grazie per aver lasciato sempre aperta la porta quando andavo a dormire.
Grazie per avermi insegnato ad amare i numeri.
Grazie per non avere mai pianto.
Grazie per i soldi infilati tra le pagine del sussidiario.
Grazie per quella sera a teatro, voi ed io, come principi.
Grazie dell’odore di castagne, quando tornavo dal collegio.
Grazie per le messe in fondo alla chiesa, sempre in piedi, mai in ginocchio.
Grazie di aver indossato l’abito bianco, per anni, il primo giorno d’estate.
Grazie per la fierezza e la malinconia.
Grazie per questo nome che porto.
Grazie per questa vita che stringo.
Grazie per questi occhi che vedono, queste mani che toccano, questa mente che comprende.
Grazie per i giorni e gli anni.
Grazie perché eravamo noi.
Mille volte grazie. Per sempre.